Psycho-delivery e Vir(tu)ale: la Formazione a domicilio

di Emilio Riccioli
Il Delivery1 è ormai una realtà consolidata. Basta avere un PC o lo smartphone e si è in grado, da casa e comodamente seduti sul divano, di approvvigionarsi di beni primari e secondari: dalla cena che non si è riusciti a preparare per tempo alle cartucce d’inchiostro che ci servono l’indomani per stampare documenti o, addirittura, il sapone per le stoviglie appena finito ed altro ancora. Tutti i prodotti sono acquistabili stando connessi a Internet tra i propri comfort, magari riempiendo i tempi morti delle pubblicità mentre si sta vedendo la serie televisiva preferita. Oppure, se si vuole, quest’ultima la si mette in pausa per completare l’ordine e riprendere la visione poco dopo.
Il Delivery, insomma, ci mostra sempre più un mondo a nostra misura, a portata di mouse. Un mondo che ci sembra alleggerito e che possiamo incastrare perfettamente con i nostri tempi: se lo desideriamo, lo mettiamo in pausa per farlo ricominciare quando ci è più comodo.
Senza dubbio, la realtà virtuale, sempre aperta e disponibile (possiamo sempre fare i nostri acquisti, anche in tarda nottata, per vederceli recapitati il giorno dopo), ci ha risolto diverse questioni pragmatiche: gli oggetti che ci necessitano non ci rubano più del tempo per andarli a cercare fisicamente nei negozi. Tuttavia, in questo modo si interrompe quel necessario negoziato tra domanda ed offerta che guidava il legame tra consumatore e venditore. Un negoziato relazionale, fattivo, talvolta umorale.
Il Delivery sta dilagando in ogni campo dell’esistenza dell’umano ed ha da tempo investito anche la formazione in psicologia. Sebbene sia stato ritirato, non si è ancora placata la feroce polemica delle Università che erogano corsi telematici contro il Decreto Fioramonti, che si prefiggeva di bloccare i corsi di laurea di natura sanitaria (tra i quali, ma non solo, quelli di psicologia), in quanto l’e-learning non forniva adeguate garanzie di formazione in quelle professioni nelle quali la relazione, il corpo, la presenza costituiscono i cardini dell’intervento stesso. Contro il Decreto hanno levato gli scudi sia quelle Università impegnate in questo tipo d’insegnamento sia gli studenti iscritti, lamentando come siano rimasti orfani di un’impalcatura didattica e di nuove tecnologie ormai accettate in tutto il mondo, soprattutto in quello anglosassone. Costoro dichiarano che “mentre il mondo abbraccia la tecnologia e la rende effettivamente un punto d’incontro tra desideri, competenze ed esigenze, in Italia si tende ancora a creare una pira per le aspirazioni degli studenti, fra test d’ingresso di dubbia necessità, numeri chiusi, obblighi di frequenza, burocrazia lenta, ingarbugliata e costosa”2.
Quanto ancora stia prendendo piede questa modalità di trasmissione del sapere è sotto i nostri occhi. Una recente pubblicità telematica, indirizzata a coloro che operano nel campo psicologico, così recita: “Formati senza uscire di casa”. Un altro delivery al quale partecipano – così recita la pubblicità – i massimi esperti mondiali della materia.
Non abbiamo dubbi che, in un mondo in cui l’intervento psicologico è ridotto all’applicazione di una tecnica, l’apprendista stregone possa imparare pedissequamente i passi da applicare nella sua pratica e, se non li ricorda, la sera, confortevolmente seduto sul suo divano, può ripassarli più volte, ripetendo o ascoltando le stesse informazioni come il Tg di Sky. Il quale, ante litteram, ha colto la funzione della ripetizione in un sistema mediatico complesso in cui l’informazione è qualcosa che si perde di continuo.
Ma che ne è della formazione, del dare forma, della possibilità dell’accadere di un incontro (τύχη) che Aristotele aveva già indicato come rottura degli automatismi consolidati? Quanto sia importante l’ora di lezione è stato già messo in quota da Recalcati 3. L’ora di lezione è quel frammento di tempo nel quale può avvenire un incontro, necessariamente dal vivo, con la testimonianza incarnata del concetto che si sta spiegando. Solo durante la lezione, infatti, potrà avvenire quell’urto virtuoso tra quei desideri e quelle successive competenze più sopra citati da coloro che hanno avversato – pensiamo, per certi versi, anche giustamente: ci riferiamo ai consumatori ai quali va la nostra completa solidarietà – il Decreto Fioramonti. La realtà virtuale, priva della sensorialità ampia di un contesto formativo in cui si incontrano aspettative, timori, desideri, curiosità, dubbi, perplessità e paure, non è il luogo privilegiato dentro cui questi aspetti possono trovare un loro proficuo incontro ed essere dialettizzati. E nemmeno le domande in remoto che gli studenti possono rivolgere all’insegnante, come si affrettano a rispondere i difensori di queste nuove tecnologie, possono sostituire quella presa di posizione singolare e la conseguente enunciazione della domanda che ci fa varcare la soglia “virtuale” tra essere protagonisti attivi nel costruire il proprio presente o restare passivi. Il clima emotivo dell’ora di lezione nel quale si incontrano studenti e professore non è, ad oggi, replicabile con i sistemi virtuali. Una formazione priva di questi elementi vivi e concreti diventa, al più e nel migliore dei casi, informazione di medio livello, quando non scade in una de-formazione.
Una professione come quella del campo “psi”, ad alta densità relazionale, necessita di riprodurre un contesto formativo nel quale l’incontro tra formatore e formando e tra i formandi stessi sia vivo, reale. Un incontro capace di trasformare i libri e le informazioni riassunte nei lucidi in corpi tridimensionali. Coloro i quali pensano di saltare questo necessario momento, anche competitivo, rimanendo passivamente sdraiati nella loro nicchia ecologica, sospendendo l’apprendimento a seconda delle necessità del momento, si illudono di tele-comandare il flusso continuo della vita che non è in nostro possesso. Questa ripresa autoreferenziale dell’informazione scade in una ripetizione anonima che rifugge l’incontro, la possibilità di un riscatto e di un apprendimento che si incarni e diventi materia grigia. Si delinea così una pericolosa formazione solipsistica, non dialettizzata con l’altro, e che pertanto non può essere approfondita ed espansa se non a partire dalle domande e dai buchi che quest’incontro emotivo genera.
Si installa, nello studente, un Io narcisistico virtualizzato che si illude di imparare attraverso ciò che vede. Ricordiamo, è d’uopo, una massima di Confucio che così recita: “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”. Ma non solo: l’immagine allo schermo virtualizza un sapere non bucato, compiuto, completo. Alla lunga, l’immaginario rischia di suggerire forme di istituzionalizzazione del sapere agganciate allo sguardo severo del Super Io, alla conformazione alle procedure standardizzate ed all’esattezza del concetto.
Siamo consapevoli che stiamo scrivendo in un momento eccezionale per il nostro Paese e che quindi, la tecnologia a distanza è e sarà nei prossimi mesi un utilissimo strumento per aiutarci nella nostra quotidianità. E, ancora, per sgomberare ulteriormente il campo, precisiamo che non siamo animati da nessuno spirito di polemica o protagonismo del momento. Condividiamo l’idea che in queste circostanze lo strumento informatico, che consente la lezione a distanza, sia un utile coadiuvante e, facendo un parallelismo con la scuola, un energico supplente. Il titolare dell’insegnamento è e rimane il titolare di cattedra, come ha ben argomentato il Prof. Barbero dalle pagine del Corriere della Sera4.
Assistiamo ad una proposta formativa, concludendo, che sconta sia il costo faticoso dell’apprendimento sia quello dei consumatori, ben felici di poter accedere al meglio dell’expertise mondiale a prezzi ridotti, con l’idea sottesa che non vi sia alcuna differenza, in termini di acquisizione, tra il reale ed il virtuale. I fan dell’Intelligenza Artificiale e del virtuale stanno in questi giorni pubblicizzando, con una sorprendente rapidità invero, le loro piattaforme, attraverso cui poter esercitare formazione a distanza o colloqui psicoterapeutici via web. C’è un’inquietudine che ci attraversa la schiena leggendo queste pubblicità: ci chiediamo se non nascondano, in verità, uno dei possibili intenti occulti in questi suggerimenti, ovvero che il vir(tu)ale, sia il cavallo di troia, il virus che ha di mira una de-sostantivizzazione e de-soggettivazione dell’umano, in modo da estrarne la sua forma logica, liberarla dal corpo senziente che ne moltiplica le variabili e farne oggetto di ricerca e di replicabilità.
Una vera e propria pandemia a-sintomatica, al momento.
Sono questi i tempi.

1 Il termine, letteralmente, significa «consegna», ma ha ormai assunto il significato condiviso di «consegna a domicilio».
2 Radio Cusano Campus, https://www.tag24.it/247584-decreto-fioramonti-universita/
3 M. Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento. Einaudi: Torino, 2014.
4 https:// torino.corriere.it/cronaca/

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